Il Tolvaptan (Otsuka) può essere un farmaco utile per i pazienti con ADPKD?
Prof. Francesco Scolari
Direttore II U.O. di Nefrologia e Dialisi
P.O. Montichiari A.O. Spedali Civili Brescia
Cattedra di Nefrologia Università di Brescia
INTRODUZIONE
Nel corso del Congresso Annuale della Società Americana di Nefrologia che si è tenuto a San Diego (California), dal 3 al 5 Novembre 2012, il Dr Torres della Mayo Clinic ha presentato i risultati dello studio TEMPO 3:4 (il titolo per intero dello studio è: Tolvaptan Efficacy and Safety in Management of Autosomal Dominant Polycystic Kidney Disease Outcomes). I risultati, pubblicati contemporaneamente sul New England Journal of Medicine, mostrano che Tolvaptan, antagonista orale del recettore V2 della vasopressina, è risultato efficace nel rallentare l’aumento del volume dei reni e il peggioramento della funzione renale nei pazienti affetti da rene policistico (ADPKD). Tuttavia, nel braccio Tolvaptan ci sono stati più abbandoni dello studio a causa di una maggior frequenza di eventi avversi rispetto al braccio di controllo.
COSA E’ IL TOLVAPTAN
Il Tolvaptan, farmaco sviluppato dall’azienda giapponese Otsuka, blocca il legame dell’ormone vasopressina al suo recettore localizzato nel rene. La vasopressina è nota anche con il nome di ormone antidiuretico, perchè permette il riassorbimento dell’acqua nel tubulo renale, portando alla formazione di urine ridotte in volume e concentrate.
Il blocco del legame vasopressina-recettore causa una riduzione a livello renale del riassorbimento di acqua, determinando la produzione di elevate quantità di urine, ed una variabile ma significativa disidratazione.
Per questa sua azione il Tolvaptan è già in commercio con l’indicazione al trattamento della iposodiemia severa (una riduzione della concentrazione del sodio nel sangue che si verifica nello scompenso cardiaco e nella sindrome da inappropriata secrezione dell’ormone antidiuretico), condizione nella quale è indicato indurre un aumento della eliminazione renale di acqua.
A livello cellulare renale, il Tolvaptan provoca la riduzione di una molecola, l’AMP ciclico (AMPc), metabolita cellulare che stimola la proliferazione delle cellule epiteliali delle cisti e la secrezione di fluidi nelle cisti (due fenomeni che causano l’aumento di dimensione delle cisti renali), accelerando la progressione dell’ADPKD.
Sulla base di questi meccanismi, era stato pertanto ipotizzato che il Tolvaptan, diminuendo la produzione renale di AMPc, potesse rallentare la progressione dell’ADPKD.
A tutt’oggi non esistono terapie efficaci in grado di rallentare la progressione dell’ADPKD; in passato, alcuni lavori avevano mostrato che gli inibitori dei recettori V2 della vasopressina erano in grado di ridurre la crescita delle cisti e di proteggere la funzione renale in questi pazienti. Pertanto, un gruppo di ricercatori ha deciso di testare l’efficacia di Tolvaptan in uno studio multicentrico randomizzato in doppio cieco e controllato con placebo.
I RISULTATI DELLO STUDIO TEMPO
Lo studio ha arruolato 1445 pazienti con ADPKD provenienti da 129 centri di Nefrologia sparsi in tutto il mondo; l’età media era di 39 anni; il volume renale era aumentato (750 ml o più); la funzione renale era relativamente preservata (clearance creatinina stimata 60 cc/min o più). I pazienti erano randomizzati con il rapporto di 2:1 a Tolvaptan (961 pazienti) al più alto dosaggio tollerato (due dosi giornaliere, partendo da 45/15 mg, aumentando a 60/30 mg e poi a 90/30 mg) o a placebo (484 pazienti).
L’outcome primario era la variazione percentuale annua del volume totale renale nell’arco di 3 anni (una misura della crescita delle cisti renali) nei pazienti trattati con Tolvaptan ed in quelli trattati con placebo.
L’end-point secondario composito era una combinazione di eventi caratterizzanti la progressione clinica dell’ADPKD, tra i quali il peggioramento della funzione renale; la comparsa di dolore renale richiedente trattamento farmacologico o invasivo; il peggioramento dell’ipertensione e della proteinuria. Un ulteriore end-point secondario era la velocità di peggioramento della funzione renale misurata impiegando la caduta del reciproco della creatinina plasmatica.
I risultati hanno mostrato che, nel corso dei 3 anni, l’aumento di volume è stato maggiore (quasi doppio) nel gruppo placebo (5,51% per anno) rispetto al gruppo in trattamento attivo con Tolvaptan (2.80%). La differenza era statisticamente significativa (p < 0,001).
Per quanto riguarda l’endpoint secondario composito, il Tolvaptan ha mostrato una riduzione statisticamente significativa (p= 0.0095) del rischio di eventi combinati comprendenti peggioramento della funzione renale, dolore renale, ipertensione o proteinuria. Questo risultato era dovuto per il 61% alla riduzione del rischio di peggioramento della funzione renale e per il 36% alla riduzione del rischio di peggioramento del dolore renale. Dal punto di vista numerico, ci sono stati meno eventi avversi correlati alla malattia per 100 anni-persona di follow-up con tolvaptan che non con il placebo (44 eventi contro 50 per 100 anni-persona), risultato dovuto soprattutto all’effetto sul declino della funzione renale (due eventi contro cinque per 100 anni-persona; P < 0,001) e sul dolore ai reni (cinque eventi contro sette; P = 0,007). Inoltre, il trattamento col Tolvaptan era associato ad un più lento declino della funzione renale (reciproco del livello sierico di creatinina -2,61 (mg/ml)-1 all’anno contro -3,81; p <0,001).
Complessivamente, 1.157 pazienti (80%) hanno completato i tre anni di studio. Il 23% dei pazienti che assumevano Tolvaptan ed il 14% di quelli che ricevevano placebo sospendevano in modo definitivo il trattamento. Un maggior numero di pazienti trattati con Tolvaptan sospendevano il trattamento per effetti collaterali rispetto a quelli trattati con placebo (il 15% contro il 5%).
I pazienti trattati con Tolvaptan mostravano una maggior frequenza di eventi avversi riconducibili all’aumento dell’acquaresi, quali sete (55% con Tolvaptan e 20% con placebo); poliuria (38% con Tolvaptan vs. 17.2% con placebo); nicturia (29.1% con Tovaptan vs. 13.0% con placebo); polidipsia (10.4% con Tolvaptan vs. 3.5% con placebo). I pazienti che ricevevano il placebo mostravano una maggior frequenza di eventi avversi riconducibili alle cisti (dolore renale, ematuria, infezione urinaria, dolore lombare). Alterazioni degli esami di laboratorio erano più frequenti nei pazienti trattati con Tolvaptan e comprendevano aumento della sodiemia (4.0% vs 1.4%), dell’acido urico (6.2% vs 1.7%), ed un significativo incremento della transaminasi (4.7% vs 1.7%). Dei 961 pazienti trattati con Tolvaptan, l’8.3% sospendevano il farmaco per sintomi legati all’acquaresi e l’1.2% per anormalità della funzione epatica, rispettivamente.
COMMENTO
I risultati dello studio Tempo 3:4 suggeriscono un potenziale trattamento dell’ADPKD in grado di contenere la crescita di volume del rene, diminuire i sintomi associati alla malattia (dolore, ematuria, infezioni urinarie) e rallentare il declino della funzione renale. Non si tratta di una cura radicale della malattia, ma di un trattamento che promette di rallentare la progressione della malattia, riducendo la frequenza delle complicanze correlate con l’ADPKD. Pertanto i risultati dello studio sono da considerare un significativo passo avanti, essendo la prima terapia mirata dimostratasi efficace nel ridurre la crescita renale e il peggioramento della funzione renale nei pazienti ADPKD.
Questo è il motivo per cui la PKD Foundation americana considera questo studio una pietra miliare per la comunità dei pazienti con rene policistico e per la fondazione stessa.
Tuttavia lo studio presenta alcune limitazioni che è importante sottolineare.
In primo luogo, a tutti i pazienti (anche a quelli nel gruppo placebo) era richiesto di mantenere una buona idratazione e di evitare la sete, tanto che un numero discreto di pazienti del gruppo placebo riferivano poliuria (17%) e nicturia (13%). Questa scelta, se ha aiutato a mantenere la condizione di doppio cieco dello studio, può rendere conto della ridotta crescita di volume renale osservato rispetto agli studi precedenti (dal 6.8 all’ 11.8% per anno) e aver determinato una sottostima dell’effetto del Tolvaptan.
In secondo luogo, non è chiaro perchè il tolvaptan non abbia avuto un beneficio sul peggioramento dell’ipertensione e della proteinuria, anche se la maggior parte dei pazienti era ipertesa già in condizioni basali.
In terzo luogo, il potenziale beneficio del trattamento con Tolvaptan non è senza rischi. Un significativo numero di pazienti ha sospeso il Tolvaptan per gli effetti collaterali dovuti al suo effetto acquaretico (sete, polidipsia, poliuria, nicturia), ed il trattamento con Tolvaptan era anche associato con un aumento degli enzimi epatici, ipersodiemia, aumento dell’uricemia e gotta. Sete, poliuria, polidipsia possono condizionare la capacità di alcuni pazienti di assumere le dosi effettive di Tolvaptan, ed i potenziali effetti sugli enzimi epatici e sui livelli plasmatici di sodio ed acido urico richiedono un attento monitoraggio. Gli eventi avversi correlati alla aquaresi ma non la più alta frequenza di aumento degli enzimi epatici erano già stati osservati negli studi precedenti con Tolvaptan sulla iposodiemia; questo potrebbe essere dovuto alla più alte dosi di Tolvaptan impiegate nello studio Tempo (e non bisogna dimenticare che i pazienti con ADPKD rappresentano una popolazione particolare e che la terapia dovrebbe essere a lungo termine).
Infine, i pazienti del gruppo placebo mostravano più complicanze legate alla malattia (dolore renale, ematuria, infezioni urinarie); tuttavia, lo studio non ha testato in modo sistematico gli effetti del Tolvaptan sul dolore renale (il numero degli eventi era modesto), per cui i dati sul dolore renale devono essere confermati.
Nonostante queste riflessioni critiche, lo studio TEMPO 3:4 rappresenta il maggior avanzamento nella ricerca di una terapia per l’ADPKD. La utilità di un trattamento a lungo termine con Tolvaptan nei pazienti con ADPKD dovrà dipendere da un rigoroso bilancio tra benefici e rischi; medici e pazienti dovranno soppesare il ruolo di un farmaco che ha effetto acquaretico, ma che, d’altro canto, sembra alleviare il dolore e potrebbe ritardare il ricorso alla dialisi e al trapianto.
Come potrebbe, sulla scorta dei risultati dello studio, cambiare il trattamento futuro dei pazienti con ADPKD? Il Tolvaptan può essere un farmaco utile per la maggior parte dei pazienti ADPKD o dovrebbe essere prescritto solo per quelli a maggior rischio di progressione di insufficienza renale terminale? In attesa di richiesta di autorizzazione alle agenzie regolatorie del farmaco (FDA, EMA) da parte di Otsuka sul possibile impiego del farmaco nei pazienti ADPKD (oggi non si può usare per questa specifica indicazione) che fornirà ulteriori elementi di conoscenza, la comunità nefrologica dovrebbe discutere su possibili criteri che guidino una appropriata selezione dei pazienti con ADPKD da avviare al trattamento e le modalità ottimali di impiego del trattamento acquaretico. Nel frattempo, considerando gli effetti collaterali possibili e la scarsa esperienza nell’impiego del farmaco, in accordo con quanto suggerito dagli autori del lavoro, un impiego “off-label” non appare al momento consigliabile.
AIRP ringrazia il Prof. Francesco Scolari.
(al commento ha partecipato la Dott.ssa Alessandra Boletta, Ph.D. – Istituto Telethon Dulbecco, c/o Istituto Scientifico San Raffaele, Milano)